Questo ritratto è stato pubblicato in francese nel libro Le totem d'Imyriacht (2023) edito da maelstrÖm (Belgio)
Safaa Mazirh
Il ritratto onirico di Safaa Mazirh
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Ricordo di quando Safaa mi ha presentato i suoi primi scatti in bianco e nero, prima che le sue foto venissero esposte. Eravamo al computer, io provavo a concentrarmi fra la musica psichedelica, i commenti audio della FIFA 13 sulla PS4, le urla di un neonato, il rumore metallico di un bracciale, la chiamata alla preghiera che copriva di colpo la città e questa resistenza interna a capire attraverso le immagini il dolore, il desiderio, le paure, e anche la violenza di una giovane donna bella e commovente come un’estate, la sua propria violenza, il suo proprio sadismo, il suo sguardo come se fosse lo specchio di un mondo che lei stessa provava a decifrare, come se i pixel l’avrebbero salvata dal torpore. Autofinzione, arte pura, un mondo a sé stante, le fotografie di Safaa Mazirh sono un’introspezione del corpo, della pelle, dei nervi della pelle, dell’intransigenza di essere sé nell’io. Ma c’è anche la paura del soprannaturale, dell’aldilà, di Dio, a tal punto da trascriverla in ciascuno dei suoi autoritratti, sfocati quanto il desiderio di mostrare tutto senza far vedere niente. A tal punto da trasformarsi in maschera Ibibio parlante o da entrare in trans. Provo a spiegarglielo nel labirinto ben tenuto della medina di Rabat, a farle capire che non bisogna avere paura di quello che abbiamo fatto, anche se sono stupidaggini. Allora mi ha raccontato il suo sogno: quando era bambina, aveva cinque o sei anni, veniva inseguita da una palla di fuoco, lei correva, correva fino a non poterne più, temeva che la palla l'avrebbe uccisa, convinta com’era che la palla di fuoco fosse Dio e che lei aveva fatto cose che non avrebbe dovuto fare. Allora le ho detto: «Vieni, ti porto dalla donna dei chiodi. Così potrai fotografarmi mentre mi toglie fobie e malattie. Vedrai che il gioco di specchio funzionerà a meraviglia. Togliendo a me le mie paure, a te toglierà le tue.» Non era particolarmente convinta dalla mia proposta. Arrivati davanti alla casa della donna dei chiodi, notiamo che anche la porta era definitivamente inchiodata. Sbircio dal buco della serratura e vedo delle bambole ammucchiate, bambole nude, brutte ma belle, dallo sguardo diabolico, bambine proiettate in uno specchio rotto. Sembrava che la luce si infiltrasse da altre crepe in questo nascondino misterioso. Safaa mi ha tirato per un braccio dicendomi: «Andiamo via, è troppo pericoloso.» Sembravamo bambini, volevo restare e anche lei in fondo lo voleva. Ma la luce divenne sempre più intensa fino a diventare una palla. E mi vedo, ci vedo, bambini, correre spaventati come gatti alla vista di un cetriolo. Al risveglio da questo incubo degno di Alfred Hitchcock pensai a una cosa sola: Safaa invece di temere l'aldilà dovrebbe trarre le forze vitali del suo sguardo dal cielo, nutrirsi di ispirazioni divine, di spiriti superiori, per rivoluzionare l'arte della fotografia.
Traduzione : Irene Seghetti
Pubblicazioni e aneddoti
La versione originale in francese è disponibile cliccando qui
Biografia
Artista autodidatta, Safaa Mazirh si è confrontata per la prima volta con la fotografia durante i laboratori dell'associazione fotografi’art che riunisce diversi giovani fotografi a Rabat. Il suo fascino per il movimento dei corpi in scena l’ha spinta ben presto a lavorare su questa tematica per diverse compagnie di teatro. Dei loro spettacoli, Safaa ha saputo immortalare l'arte della regia, costruendo in pochi mesi un teatro fotografico del reale.