Questo ritratto è stato pubblicato in francese nel libro Le totem d'Imyriacht (2023) edito da maelstrÖm (Belgio)
Maija Disseau
Il ritratto onirico di Maija Disseau
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Entro in una bottega dei sogni, una donna è seduta dietro a un bancone troppo alto per permetterci di conversare. Non so se mi fossi appena riaddormentato o se fossi in quella fase svanita fra due mondi invisibili. Mi sembra di vedere degli uomini correre nella bottega dei sogni, in fila indiana, trotterellando, poi s’immergono in una vasca senza fondo. Mi avvicino alla vasca, provo a toccare il fondo, ma niente. L’acqua scorre via. Sento la donna dirmi con voce calma: «Di sogni, ne ho da vendere, di notte come di giorno… sono i miei pensieri, il mio essere. Mi capita di affondare nei meandri del mio inconscio che sprofonda a sua volta nei meandri dell’Universo, sono Maija Disseau.» Mi tende la mano di Fatima al termine di un braccio molto lungo. «Ma lei chi è? Mi sembra una persona interessante. Pensatore? Filosofo? Sciamano?» Resto in silenzio, non le dico chi sono, stanco di giocare al gioco della vita, osservo i ventilatori rosa da soffitto che girano disassati. Odio fare domande sulla vita degli altri, tranne quando fra me e gli altri ci sono i tarocchi. Lei, con la sua mano libera da credenze oscure, si avvicina e mi parla nella lingua dei segni, non capisco niente. Dei cantastorie attraversano la strada, riuscendo a non farsi investire, due bambini sono seduti nella bottega dei sogni e litigano, uno è l’immagine stessa della delicatezza, l’altro è la brutalità in persona, una bestialità senza scrupoli. È il ragazzino delicato a uscire vincente dalla disputa, vince la felicità a mani basse. Fa caldo, mi volto e osservo i sogni sugli scaffali, sogni che mi lasciano un po’ indifferente, i meno costosi: rubini, sogni di una vita migliore, carte di credito senza credito, sogni falsificati. Poi a sinistra, altri sogni più colorati. Mi dice: «Quelli sono i sogni che vengono da Milano». Mi avvicino, sono leggeri, ne prendo uno e lo inghiotto, rivedo le immagini di un film mai realizzato, una storia d’amore senza capo né coda, anni di attesa per niente, rivedo le immagini di una storia persa che si allontana nel tempo, che sparisce come sabbia al vento. Mi sveglia e mi dice: «Non ne prenda troppi, le costeranno cari. Mettiamo a disposizione dei nostri clienti dei letti come quelli, li vede? In questo modo è possibile sognare senza pericolo di crollare sotto il peso delle immagini. Mi piace rannicchiarmi in quello di destra, avvolta in una coperta, ingoio un sogno e mi faccio una domanda prima di sprofondare in un sonno di fuga: cosa devo fare/essere in questo paese che aborro di tanto importante che anche la stessa libertà si prende gioco di me? Catturato da un altro sogno, opalino, un po’ più lontano ma troppo costoso per me, mi volto al suono della parola “paese”… Le chiedo: «Quale paese? Dove siamo? Non ci troviamo a Mapuetos?» Un albero luminoso brucia le ghirlande di un mondo in piena implosione. «Non importa dove siamo», mi dice. «A volte ci ritroviamo in paesi in bianco e nero, in cui cerchiamo una persona famosa, ci sentiamo noi stessi una celebrità meno nordica, ci proiettiamo in romanzi polizieschi, ci identifichiamo ad altri per un nome che non abbiamo scelto…» Tutto diventa confuso, fuori piovono cavalli, i due bambini cambiano di stagione, Maija Disseau, abituata alle terapie, è vestita da guerrab, portatrice d’acqua, cercatrice d’oro. Il cielo si fa scuro, lei tiene in mano una ciotola di rame e sulla testa un enorme cappello multicolore, il cielo ha trasformato tutto in bianco e nero, lei ingoia un sogno, tossisce ma deglutisce lo stesso, si sdraia nel letto, e il suo sogno viene proiettato su uno schermo, un tessuto color crema steso con delle mollette per i panni su delle corde che formano orizzonti, tanti orizzonti quante assenze. Inizia il suo percorso onirico nella città di Bowles, dà da bere a chi glielo chiede, è vestita di rosso e a volte fa cadere l’acqua, un po’ maldestramente, ma in questo mondo in bianco e nero, senza pensare a nessuno, pensando solo a sé, l’acqua tocca terra e i colori si accendono. Lei dà da bere a tutti, e tutti quanti ritrovano le proprie sfumature di colore. «Che succederà quando non ci sarà più acqua?» le chiedo. Inghiotto il sogno Mapuetos, dolceamaro, chiudo gli occhi, poso le mani sul letto, mi corico. Nel sogno seguo un sogno un fiume di acqua potabile che si riversa nel suo otre.
Traduzione : Irene Seghetti