Sara Capoccioni (IT)

Sara Capoccioni

Il ritratto onirico di Sara Capoccioni

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Sara Capoccioni non ha rimproveri per me. Sento che le poche energie velate di dubbio, le poche discrete chiusure, le poche insicurezze di vario ordine vanno scomparendo a mano a mano che cado in un sonno profondo. È vero che ho un sonno leggero – sempre in allerta contro l’attacco di un esercito invisibile, di una sciabola affilata infilzata fra il muro e il letto – che il mio sonno profondo non dura mai a lungo e che il mio sonno paradossale, di una durata massima di un’ora e quarantacinque minuti, mi paralizza i muscoli, il che spesso nei sogni mi impedisce di correre. «Perché correre, Patrick Lowie?», chiede Sara Capoccioni con delicatezza, e aggiunge: «Tutte le nostre accuse di ieri ci si ritorcono contro, forse noi siamo loro o forse loro sono noi...» Ci troviamo davanti a uno specchio e non ha tutti i torti, penso in cuor mio: «Sara non ha mai torto.» Questo sogno è diverso dagli altri, assomiglia a una danza di Fellini, agli specchi di Tarkovskij, alle ombre di Lang o ai suoi numerosi interrogativi sulla natura criminale della società durante l’ascesa del nazismo. Mi sembrava anche di sentire la voce di Gregory Porter, tipo un canto di Natale in una piccola bottega degli orrori umani. Mi accorgo che ho le mani macchiate di sangue. Forse sono i miei silenzi. Dico a Sara: «Raccontiamoci i nostri sogni più folli, più orrendi, davanti a questo specchio rotto, ma infrangibile. Sta esitando? Allora lasci che cominci io… Una notte correvo in un labirinto che avevo costruito io stesso con della carta pesta, che ovviamente prima avevo avuto cura di pestare a più non posso con i piedi logori, gli occhi scavati, quando degli uomini armati si sono messi ad urlare e ho iniziato a correre sempre più veloce, una, due detonazioni, ho sentito alle spalle più di un tradimento, più colpi mortali, nel sogno capivo che stavo per collassare, per morire. Infatti, sono collassato e sono morto. Lei non parla, ma noto che abbozza un sorriso. Mi dico che devo cambiare: migliorare, scoprire di più, farmi amare di più. Lei mi osserva attraverso le fessure dello specchio, riflessi dorati si proiettano sulla pelle del suo volto, intorno agli occhi, e anche sui muri. Mi racconta il suo sogno: «Ho vissuto con mia zia. L’ho sempre vista come un albero, e ho sempre visto me come il suo ramo diagonale. Un giorno, ho sentito che l’albero mi strappava via, mi perdeva, bruscamente. Era appena morta. La notte stessa del funerale, mentre dormivo, fui svegliata da un rumore sordo contro il muro… Terrorizzata, uscii di corsa dal mio appartamento, ma scoprii ben presto che nella camera dei miei figli, assenti, la moto telecomandata, comprata il giorno in cui mia zia era entrata in coma, si era mossa, sbattendo da un muro all’altro.»

Le ali delicate delle farfalle sventolavano nell’aria, creando un’atmosfera onirica che avvolgeva la stanza in un’aura incantata. Era come se queste creature maestose fossero le messaggere di un mondo parallelo, introducendo una dimensione surreale, magica, alla nostra realtà. Mentre eravamo immersi in questo strano spettacolo, la donna misteriosa dalla voce delicata si avvicinò con grazia. Gli occhi le brillavano di una luce curiosa e le sue parole sembravano portate da una saggezza secolare. «La sua reputazione supera tutte le frontiere immaginabili», disse con un sorriso enigmatico. «Mi hanno parlato molto di lei, dicono che sia connesso a mondi ben al-di-là da quelli percepibili con i sensi.» Queste parole mi suscitarono una curiosità intensa, mentre la trama di questa società mistica del 2023 si estendeva davanti al mio sguardo meravigliato. Siamo osservati da un essere androgino con delle ali di farfalla cucite addosso. È quasi nudo e di una bellezza da togliere il fiato. Mentre muove le mani, la scenografia si arricchisce di nuove luci, nuove energie mi attraversano i sensi. Guardo Sara Capaccioni, anche lei sconvolta dall’effetto violento, che ci trasforma. L’essere (è umano?) esige la nostra attenzione (come negargliela dato che occupava tutto lo spazio energetico di questa scena teatrale?) e dice: «Questa società enigmatica, battezzata Mapuetos, evoca un mondo in cui la realtà e l’immaginazione si intrecciano in maniera armoniosa. Le sue vie corte e strette sono lastricate di antichi ricordi e di buone intenzioni, e ogni angolo racchiude storie dimenticate e misteri da scoprire. Gli abitanti di Mapuetos sono cantastorie nati, capaci di tessere racconti ammalianti ad ogni parola proferita. Inventano, trasformano, creano. Gli edifici ricordano le pagine di un libro antico, coperte di glifi e ornamenti mistici che raccontano la storia di una città. Un bagliore magico permane nell’aria, dando vita a una costante aria di festa, dove manifestazioni artistiche e festival dai colori sgargianti rivelano la passione ardente di Mapuetos per la creatività e la meraviglia. Questa società unica sembra l’incrocio fra la realtà e l’immaginario, dove i confini fra i due mondi svanisce, invitando abitanti e visitatori a vivere in uno stato perenne di stupore. Guardi alla finestra, vedrà la zia di Sara.»

Ci precipitiamo alla finestra che, prima del nostro arrivo, dava su un palco di cemento, un cimitero dell’umanità, e ora si è trasformato in una visione paradisiaca fra un mare blu incredibile, una vegetazione tanto variegata da non credere ai nostri occhi, il maestoso vulcano di Imyriacht e un campo infinito di calle. «Ma è morta», urla Sara. «Che ci fa qui?». L’essere androgino le risponde che è tornata perché Sara, nella bara, le aveva lasciato dello zucchero e quindi una quantità di energia sufficiente per tornare fra i veri vivi. Il vulcano rimbomba come un mostro addormentato che russa al ritmo di strani sogni. Sara si avvicina a me chiedendomi: «Siamo in un sogno?» La farfalla-androgina si brucia la punta delle ali, ma senza subire danni. Canta per sé una canzone: «Sono così bello che non posso fare a meno di amarmi, non ho bisogno di luci, né di specchi. Mi amo ed è perché mi amo che amo l’umanità. Rimarrò bello in eterno.» Mi siedo su una delle sedie di legno e rispondo: «Non siamo in un sogno, Sara. Qui è tutto vero».


Traduzione : Irene Seghetti 

Pubblicazioni e aneddoti

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Biografia

Sara Capoccioni è nata a Pozzuoli, in provincia di Napoli. Ha vissuto in diversi Paesi europei. In Italia, ha cominciato ad insegnare da giovanissima, poi si è trasferita in Belgio, dove ha lavorato per conto del Ministero degli Affari Esteri italiano, per varie istituzioni. Nel 2003, ha fondato con suo marito la galleria TRE-A nella città di Mons (Belgio), dove promuove l’arte contemporanea. Fra le sue passioni, la poesia è un filo conduttore che coltiva dall’infanzia, in una dimensione che è rimasta a lungo privata.

Dettagli d'uso
Mapuetos è un progetto letterario creato dallo scrittore belga Patrick Lowie. Questo ritratto è un ritratto onirico, cioè è solo un ritratto ispirato da un sogno e dalla pura immaginazione. Di conseguenza, la storia raccontata non è reale. Errori di sintassi o di ortografia... non esitate a contattare mapuetos@mapuetos.com

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